Che piccolo paese quello che non ci offre nemmeno le chiavi della sua storia recente, quello che manca di assoluzioni e pensa allora di dipingere tiepidamente una generazione che se non aveva capito certe cose sapeva perfettamente che il suo tempo non sarebbe stato l’ora, ma il sempre. Che piccolo paese quello che confida nel compiacimento di una memoria elastica relegando nel domestico i propri gesti imperdonabili e che tristezza non saper ammettere che le rivoluzioni si fanno col materiale che si trova in quel frangente ed è da quel materiale che si discuteranno poi gli errori .
Che piccolo paese di intellettuali finti e buffi che non ricorda baffi e facce,ma presuppone libri per la loro vita ridicolmente a rischio, di schiavi addomesticati richiamati con un fischio.
Guardavo gli anni spezzati che hanno avuto l’ironia di dare la parte di Pinelli a Paolo Calabresi, non pensavo potesse esistere nulla di peggio di romanzo di una strage, ma non c’è mai fine si vede alle brutture del paesello, non c’è nulla di peggio storicamente che falsificare le proprie narrazioni che essere incapaci di scavare in uno spazio ancora pieno di suoni.
Chi parla di storia recente deve disporsi a un corpo a corpo con il tempo, deve dimenticare la consolazione, l’anno zero del futuro, deve smettere di cercare la fuga, la via di scampo
Mi sono rotto le palle del racconto, mi sono rotto perché c’ero, rotto degli sforzi di seppellire fantasmi, di rimestare l’innocenza come se fosse senza colpa…segue